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LA MORTE COME PROSPETTIVA BRILLANTE

18 novembre 2009

Ai tuoi fedeli, Signore,
la vita non è tolta,
ma trasformata.

(Dal Canone dei defunti).

 

Potrebbe sembrare una brutta professione quella di dar sepoltura ai morti ma, come tutto, dipende dallo spirito con il quale si fa. Noi di Algordanza (http://www.algordanza.it/) siamo andati addirittura “oltre”. Il nostro mestiere è la post-sepoltura: trasformiamo le ceneri di cremazione in diamanti. Molti non sanno che ciò è possibile e rimangono meravigliati quando lo sentono per la prima volta, ma quasi tutti poi ci dicono “è molto bello quello che fate: trasformare il buio in luce”. Sì, in effetti è un po’ così, o almeno lo è simbolicamente in quanto per molta gente la morte è sinonimo di buio (“buio impenetrabile” se vogliamo utilizzare una vecchia espressione del cardinale Ratzinger) mentre per quasi tutti un diamante è sinonimo di luce.

Con il mestiere che abbiamo scelto di fare, trasformare il buio in luce, è facile imbattersi in situazioni di afflato mistico di fronte al mistero della morte ed al ricordo dei cari defunti. Siamo gratificati di poter dire che nel nostro piccolo aiutiamo le persone a vivere meglio e a metabolizzare l’evento della morte. E non importa che questi siano cattolici praticanti oppure no. Molti fedeli in occasione della morte vedono nel Diamante della Memoria l’essenza ultima della persona cara cui rivolgersi per una preghiera più intensa. Una sorta di esito finale della vita umana che tuttavia non vuole più nascondersi, occultarsi fino a “scomparire” in quei brutti luoghi che sono i cimiteri, né vuole stordirsi in una società dei consumi, civiltà dell’apparenza, che tende a nascondere la morte, a truccarla, per renderla estranea o irriconoscibile. Quante volte abbiamo sentito che il dovere di mentire si è sostituito a quello di avvertire il morente! Proprio per scacciare l’angoscia che si annida in profondità nella nostra anima, si fa morire il nostro caro sempre più frequentemente in un letto d’ospedale e sempre meno a casa propria. Non abbiamo il coraggio di educare ed educarci a capire la morte e quindi si perde anche l’occasione di educare a capire la vita.

In questa prospettiva, non possiamo non far nostre le parole del Cardinal Bagnasco: “oggi è diffusa la consapevolezza dell’urgenza di aiutare i nostri fratelli a pensare in maniera meno evasiva alla prospettiva dell’appuntamento con la morte come di una tappa non estirpabile dall’orizzonte concreto, comunque incombente sulla vita di ciascuno”. Proprio per questo motivo, per rendere meno evasiva la prospettiva dell’appuntamento con la morte, il Diamante della Memoria opera come segno di intelligenza, un modo prezioso per imparare a vivere. Il Diamante come strumento che innesta e avvia una controtendenza a rimuovere l’evento negativo, a scantonarlo, a scongiurare ogni coinvolgimento della persona.

Diceva J. Ratzinger in una riflessione scritta nel 1971, quando era docente di Teologia dogmatica all’Università di Ratisbona, “Esiste un limite oltre il quale la ragione – declinata come scienza, come azione, persino come religione – non basta più a vincere l’angoscia: quello è il momento di una presenza che sappia comunicare com-passione, un esserci al di là dei mezzi materiali spesso limitati su cui possiamo contare”. Si tratta naturalmente di una meditazione ispirata dalla fede e non per tutti riuscirà credibile e convincente. Tuttavia essa contiene un insegnamento importante anche per chi non crede. Dice Ratzinger: “Si dà un’angoscia – quella vera, annidata nella profondità delle nostre solitudini – che non può essere cacciata via mediante la ragione, ma solo con la presenza di una persona che ci ama”.

Il fenomeno della rimozione della morte determina la scomparsa della sua esperienza e questo fatto non rende più allegra la vita, ma solo più superficiale. Invece, la memoria del proprio caro va vista come occasione straordinaria per lasciar emergere interrogativi, per addentrarsi nei meandri scomodi del mistero a sperimentare la crisi delle proprie certezze e delle proprie esuberanze, a meditare sulla possibilità di dare un’impronta diversa al resto della propria esistenza, a bonificare l’immagine della vita per imparare a godere realmente della stessa.

Il Diamante della Memoria è una forma di sepoltura che potrebbe rivelarsi educativa per interiorizzare la fragilità connessa alla vita e la capacità di vivere l’appuntamento con “sorella morte”. Il Diamante, dunque, per saper contare i giorni, per apprezzare i doni, per non sprecare né gli uni né gli altri. Il Diamante come un luogo tra i luoghi cari alla famiglia, un luogo dei “dormienti” e, per chi è credente, un luogo di attesa della resurrezione finale. Il Diamante come modo per bandire il macabro, come spazio della vita così concretamente trascendente da non affievolirsi mai, santuario della memoria che ci fa vivamente umani. Il Diamante come un ponte che ci unisce con l’aldilà, che infonde una dimensione diversa alla nostra vita: ce la profuma, ci rinfresca le giornate, ci riempie l’anima e alimenta il desiderio di eternità nascosto nel nostro cuore.

Algordanza Italia
(http://www.algordanza.it/)

DOPO LA MORTE

25 marzo 2009

L’INVISIBILE EVIDENTE OVVERO COM’E’ NATA ALGORDANZA ITALIA

“No. Non è la bora che spazza il cielo dalle nuvole” disse Gabriele “le nuvole sono a migliaia di metri d’altezza e la bora soffia sì e no fino ai 400 metri. Il fenomeno del cielo pulito quando c’è bora è dovuto ad altre motivazioni”. Gabriele era il più alto in grado dell’ufficio, procuratore speciale, ma era anche un esperto in meteorologia. Mario invece era il funzionario. Entrambi romani, avevano lavorato alla RAS di Milano per poi trasferirsi a Trieste, sempre in RAS ma alla direzione per l’estero. L’ufficio si chiamava UAG, Ufficio Assicurazioni di Gruppo. Al terzo piano del bellissimo palazzo di Piazza della Repubblica a Trieste. Era marzo del 1980. Fuori c’era una bella giornata anche se soffiava la bora. Stavo guardando dalla finestra mentre aspettavo che il computer stampasse dei tassi di sopravvivenza. Dall’altra stanza, Vivien, la nostra segretaria, aveva fatto una battutaccia ad alta voce, dicendo qualcosa contro i romani che vengono ad insegnare ai triestini cos’è la bora. Sorrisi. Del resto la giornata non lasciava presagire alcuna sorte avversa. Invece, ignaro, lavoravo duramente: stavo preparando il mio prossimo errore. Intorno alle 11 ricevetti una telefonata di mia madre. Strano, non mi chiamava mai al lavoro. Singhiozzava. A mala pena riuscivo a capire cosa mi diceva. Le avevano trovato un tumore in testa.

Non seppi dire niente. Solo ottuse parole di consolazione passeggera: “Vedrai che non è niente…”. Lei continuava a singhiozzare. Ed io: “non ti preoccupare… sicuramente non è come ti hanno detto”. Riattaccò. Le avevo parlato in spagnolo per non farmi capire dagli altri. Usavamo fare così a casa dato che io sono nato a Montevideo e, anche se i miei genitori erano italiani, tra di noi si parlava ancora in spagnolo. Comunque io dovevo essere sconvolto. Vivien mi chiese se avevo per caso visto un fantasma. Abbozzai un sorriso ancora. In realtà, cercai davvero di convincermi che non poteva essere niente. Come se queste cose non ti possano accadere. Il mio lavoro era quello di calcolare le probabilità di morire per fare i tassi assicurativi. Ma muoiono sempre gli altri. Mamma era ancora giovanissima, aveva appena compiuto 49 anni. Aveva tutti i capelli neri.

Da qualche tempo aveva giramenti di testa. Avevamo pensato fosse dovuto alla menopausa. Anche i medici che aveva consultato le dicevano che si trattava probabilmente di questo. I giramenti di testa si mescolavano alle vampate. I sintomi erano quelli. Nessun dubbio. Nessuna diagnosi differenziale. Tutto normale. Nessuna riflessione a più piani, nessun tracciato che rivestisse una volontà di voler scoprire quale fosse il problema reale. Per ogni problema complesso c’è sempre una soluzione semplice. Che è sbagliata.

Dopo un anno e più che si andava avanti con la storia delle vampate, una TAC scoprì la vera ragione dei giramenti di testa. Un tumore grosso come un pisello, ma cresciuto alla base del cervelletto. Una rogna gigante alla quale, ancora una volta, né io né mio fratello e tanto meno mio padre fummo in grado di prestare la giusta attenzione. Ci consolammo pensando che la piccola dimensione significava averlo scoperto in tempo. Ma non era così. Non si trattava di un tumore qualsiasi, un pisello estraneo messo nel cervello sarebbe stato molto meglio, ma che ne capivamo noi! Il cervelletto, invece, è una parte fondamentale del sistema nervoso centrale. Coordina le uscite motorie. Rappresenta il dieci percento del cervello ed è suddiviso in lobi, in fessure, in lamine, il tutto per aumentare la superficie cerebellare. Un pisello lì dentro è come un’albicocca nel cervello. Anzi, è peggio ancora.

Giovani medici, barboncini dal pensiero unico conformista, stavano tutti attorno al luminare come simpatico repertorio di una trasparenza resa opaca dal linguaggio tecnico incomprensibile: l’area paravermina, la fossa endocranica posteriore, gli emisferi cerebellari… Noi stavamo là, nella stanza di ospedale, cercando tra occhiate sbiadite e gelide luci al neon una traccia rasserenante. Che non c’era. Nelle loro facce smussate, si disegnavano solo sguardi di impermeabilità anfibia. Tuttavia ci sembrava ugualmente di poter intravvedere, alle volte, qualcosa di confortante. O almeno così volevamo credere. La speranza è l’ultima a morire ma alla fine muore come tutte le altre cose.

Io mi ero laureato due anni prima con la lode in Economia e Commercio. In qualche modo fungevo un po’ da intellettuale della famiglia. Mio fratello studiava ingegneria elettronica. Anche lui si sarebbe laureato con lode, l’unico del suo corso. Ma nonostante questa stupida cultura tecnica, nulla potemmo fare contro il destino: la morte aveva messo le sue uova a casa nostra. Mia madre non riuscì a vedere entrambi i suoi figli laureati. Morì il 20 dicembre del 1980. E morì in un modo che ancora oggi, a distanza di quasi trent’anni, mi appare incomprensibile, assurdo. Mi sembra incredibile di non essermi reso conto dell’immane tragedia che si stava abbattendo in casa nostra. Con quanta leggerezza pensavamo che dopo l’operazione tutto sarebbe tornato normale. Ridevamo e scherzavamo con lei sul fatto che la avrebbero rasata a zero, come un uovo. Ci illudevamo e facevamo castelli in aria sul suo ritorno a casa, il cane che l’aspettava. Ma si sa, i castelli in aria sono i più costosi da demolire.

La prima operazione non riuscì. Fu la peggiore. Il macellaio fece una strage. Ci andò dentro in modo brutale tagliando tutto per arrivare a quella maledetta cicerchia. Un macello. Io non lo sapevo ma ci sono chirurghi specialisti per ogni parte del corpo. Quelli che operano al cervello anche se sono competenti non devono necessariamente essere altrettanto capaci ad operare nel cervelletto. Anzi. Però noi eravamo ignari e ignoranti e ci fidammo del primario che usò mia madre come una cavia da laboratorio. Tralascio il calvario che seguì dopo. Una Via Crucis di dolore alla ricerca dello specialista ad hoc. Le varie operazioni che la resero sempre più debole. Il tempo che all’inizio sembrava scorrere lento, dispiegò tutta la sua potenza. Inesorabile e assoluto. Era come quando si gira una clessidra. All’inizio sembra che la sabbia non si muova. Invece è la dissoluzione di un impero. Verso la fine, gli ultimi granelli vanno via in un lampo. Come la vita. Quando finalmente trovammo la persona giusta, il primario giusto, quello che operava esattamente quel tipo di tumori in quella parte del corpo… fu troppo tardi. Mia madre morì prima dell’ennesimo tormento. Trent’anni e ancora oggi il ghiaccio della mia anima continua a sciogliersi in segreto. Come il primo giorno.

Dicono che ogni uomo ha un suo compito nella vita e non è mai quello che egli avrebbe voluto scegliersi. Forse è vero. L’essenziale è invisibile agli occhi. Me ne sono reso conto subito. Ma la cosa che più mi pesa è non aver potuto aiutarla. Chissà cosa pensava quando era sola? Tutte quelle lunghe notti. Perché non abbiamo mai parlato veramente invece di aggrapparci stupidamente all’idea vana che sarebbe andato tutto bene? L’errore più grande che si possa commettere è quello di non far niente perché si può fare troppo poco. In effetti, potevo fare poco e perciò non ho fatto niente. Così persi mia madre. Mi fu tolto un frammento di infinito. Porto ancora dentro la ferita di non aver potuto e saputo esserle vicino. Vorrei poterle dire quanto mi manca, vorrei parlare con lei. E a volte cercavo di farlo, quando andavo in quel luogo sgraziato che si chiama cimitero. Il posto meno appropriato del mondo per entrare in comunione con chi non c’è più.

Ero ormai avvezzo a trascinarmi questa pena infinita nell’anima quando, qualche anno fa, mentre tornavo in aereo dal Canada dove ora vive mio fratello, mi imbattei in una rivista che raccontava una vicenda che mi incuriosì molto. Vi era un’intervista ad una signora che parlava di suo marito morto qualche mese prima e che era sempre con lei. La signora parlava del diamante che si era appena fatta fare dalle ceneri di cremazione di suo marito e del colore azzurro che le ricordava tanto il colore dei suoi occhi. Da quel momento non feci altro che pensare a quella circostanza. Ma come era possibile? Un diamante dalle ceneri? In effetti lo era. E così cominciai a cercare di capire che cos’è un diamante, come si forma, cos’è il carbonio, perché si trova nelle ceneri di cremazione, ecc.

Quando finalmente ebbi l’occasione di imbattermi in Algordanza, non avevo dubbi. Dovevo, assolutamente dovevo avere mamma con me. Per sempre. Dovevo, assolutamente dovevo, dare l’occasione ad altri di avere vicino il proprio caro. Dovevo, assolutamente dovevo, lanciare il mio cuore e correre a raggiungerlo. E così ho fatto. Così è nata Algordanza Italia.

Walter J. Mendizza

L’ELABORAZIONE DEL LUTTO E IL DIAMANTE DELLA MEMORIA

23 marzo 2009

La morte di una persona cara può scatenare molti turbamenti, con
emozioni contrastanti che vanno da una profonda angoscia, una tristezza
disperata, ad un senso quasi di sollievo qualora la vita che si è
conclusa sia stata di dolore e di sofferenza. Ad esempio, non pochi
provarono un sentimento di liberazione al termine della tragica vicenda
di Eluana Englaro; tanto che quando si seppe della notizia della sua
morte, davanti alla clinica La Quiete di Udine, alcuni si abbandonarono
ad un applauso sincero, commosso e liberatorio.

Fin dai tempi più antichi, un ruolo fondamentale nell’elaborazione del
lutto l’hanno avuto le religioni e la speranza in una vita
ultraterrena. Ai nostri giorni, la teoria preminente si basa sulla
necessità di concedersi il tempo per soffrire. Secondo alcuni autori,
il percorso del lutto varia più o meno dagli 8 ai 18 mesi ed è
costituito da varie fasi. John Bowlby psicoanalista britannico
(26/2/1907 – 2/9/1990) ha elaborato la “teoria dell’attaccamento”,
in essa sono state ipotizzate quattro fasi del lutto:
1. E’ una prima fase di disperazione acuta, caratterizzata da
stordimento e protesta. Vi può essere immediato rifiuto e sono comuni
crisi di rabbia e di dolore. La fase può durare da alcuni momenti a
giorni e può interessare periodicamente la persona afflitta per tutta
la durata del processo di lutto.
2. E’ una fase d’intenso desiderio e di ricerca della persona deceduta;
è caratterizzata da irrequietezza fisica e da preoccupazione eccessiva
verso il morto. La fase può durare alcuni mesi o anche anni in forma
attenuata.
3. Descritta come una fase di disorganizzazione e di disperazione, la
realtà della perdita comincia a essere accettata. Domina una sensazione
che la vita non sia reale e la persona afflitta sembra essere chiusa in
se stessa, apatica e indifferente. Spesso si verificano insonnia e calo
ponderale così come la sensazione che la vita abbia perso il suo
significato. La persona addolorata ricorda costantemente lo scomparso;
insorge un inevitabile senso di delusione quando la persona che ha
subito la scomparsa di una persona amata riconosce che i ricordi sono
solo ricordi.
4. E’ una fase di riorganizzazione, durante la quale gli aspetti acuti
del dolore cominciano a ridursi e la persona afflitta comincia ad
avvertire un ritorno alla vita. La persona perduta viene ora ricordata
con un senso di gioia, ma anche di tristezza, e la sua immagine viene
interiorizzata.

L’elaborazione del lutto può aver luogo in diversi modi. Quello più
classico consiste nell’elaborazione attraverso la c.d. “rappresentazione”;
la persona amata perduta non può essere ritrovata nel mondo esterno e
quindi viene ricostruita nel mondo interiore dell’individuo in lutto.
Frequente, e spesso complementare, è il bisogno di ritrovare la persona
attraverso una raffigurazione di essa nel mondo reale.

Recentemente, questi due approcci hanno trovato una nuova modalità di
espressione attraverso una diversa forma di sepoltura: la
trasformazione delle ceneri di cremazione in un diamante, il cosiddetto
Diamante della Memoria.
Il diamante ottenuto dalla cremazione è l’estrema sintesi della persona
scomparsa e può in alcuni casi costituire un’accettazione almeno
parziale del lutto, incanalando l’angoscia e la disperazione associate
al dolore.

Come per la terapia, lo scopo del Diamante della Memoria è quello di
accompagnare, non togliere il dolore. Avere in mano tale diamante
consente di mitigare la solitudine, di alleviare l’abbandono, di
addolcire la lontananza. Con il diamante, la pietra più preziosa, più
dura e più eterna che esista, è possibile trovare un nuovo equilibrio,
è possibile iniziare il lento processo di ridefinizione del nostro
mondo e della nostra realtà, privati della presenza della persona cara,
ma confortati al cospetto del suo diamante. In tal senso Il Diamante
della Memoria potrebbe inoltre risultare un valido aiuto anche nel caso
di lutti patologici.

Walter Mendizza

SI SPOSA COL DIAMANTE DELLA FIDANZATA MORTA

27 gennaio 2009

Secondo quanto riportato da “The London Paper” (http://www.thelondonpaper.com), Alan Hooley, esperto britannico in design di 25 anni, ha deciso che la morte non sarà un ostacolo al suo amore e celebrerà il proprio matrimonio nonostante la fidanzata sia morta 6 mesi fa. Charlotte Simpson, di 21 anni, morì infatti in un incidente automobilistico nell’ottobre scorso. In quel periodo, entrambi avevano deciso di sposarsi e stavano pensando ai dettagli delle nozze. Con infinito dolore Alan ha deciso di portare avanti il desiderio della sua fidanzata e celebrerà il matrimonio davanti a 250 invitati, vestendo di bianco e facendosi portare alla cerimonia dallo stesso carro di cavalli che Charlotte aveva scelto. In effetti, i resti della fidanzata saranno presenti alla cerimonia giacché lo sposo porterà al collo una catena con un diamante proveniente dalle ceneri della defunta Charlotte: un gioiello di  7.500 euro.

Convertono le ceneri di cremazione in diamanti
La persona amata, sul piano poetico, è un gioiello, uno smeraldo di virtuosi riflessi, un diamante la cui pulitura è levigata dall’affetto e dall’attesa dei ricordi. Ma quando l’amato muore, la pietra preziosa dell’amore sparisce ed in molti casi finisce in cenere. Passato lo choc della cremazione, è in questo momento che la scienza e la tecnica permettono di diventare, letteralmente, il diamante che il proprio amato è sempre stato.

In quindici settimane
Questa è la filosofia dell’azienda svizzera Algordanza (http://www.algordanza.it) che sta rivoluzionando il settore funerario con la sua proposta di una nuova forma di sepoltura: convertire le ceneri del defunto in un diamante sintetico. Questa pietra preziosa si estrae dal carbonio che si trova nelle ceneri della persona deceduta.
In circa quindici settimane, il diamante smussato dall’attrito dell’amore e da un investimento che va dai 3.600 euro a poco più di 15.000 euro, dipendendo dalla caratura della preziosa pietra, è una realtà fisica. A tale prezzo ci si assicura che siano i laboratori svizzeri di Algordanza, attraverso un procedimento chimico/fisico, a trasformare le ceneri in carbonio: l’elemento base del diamante. Infine, nel prezzo è compreso anche il taglio e la pulitura del diamante secondo la preferenza della famiglia. I diamanti possono essere trasparenti oppure di un naturale leggero colore azzurro e, su richiesta, è possibile inserire un’iscrizione sul diamante tramite una micro incisione al laser.

Gioiello puro
La cremazione è una pratica sempre più estesa in Europa e ciò implica un maggiore numero di possibili diamanti. Fino ad oggi, aziende americane avevano sviluppato metodi simili ma con l’aggiunta di additivi. E’ stato invece a partire dagli studi sviluppati dall’Accademia delle Scienze di Mosca che si è riusciti a conseguire un processo di purificazione che permette di ottenere un gioiello fatto esclusivamente dalle ceneri di cremazione.

Naturale o sintetico?
I diamanti naturali provengono dalla cristallizzazione del carbonio dopo migliaia di anni di pressione. Alla fine degli anni cinquanta, la General Electric Company sviluppò il primo diamante sintetico sottoponendo la grafite a pressioni e temperature estreme. I diamanti di un defunto seguono un processo simile, ma a partire dalle ceneri.

«Goodbye & Hello: Dialogo con l’aldilà». Mostra dedicata alla vita dopo la morte.

14 gennaio 2009

ein_juwel_von_mensch

ein_juwel_von_mensch

E’ in corso di svolgimento, fino al 5 luglio 2009,  la mostra «Goodbye & Hello: Dialogo con l’aldilà» presso il Museo della Comunicazione di Berna.
La mostra, dedicata alla morte e alla vita dopo la morte, raccoglie oggetti, esperienze ed episodi relativi al contatto con il mondo dei morti. In questo contesto è ospitato anche un Diamante della Memoria Algordanza, ottenuto dalle ceneri di cremazione e rappresentativo del perdurare del legame con la persona cara scomparsa.

Nella mostra sono presenti documenti, anche audio-video, di sicuro fascino ma di altrettanto dubbia validità scientifica, tuttavia, la mostra non ha lo scopo di dimostrare l’esistenza dell’aldilà ma di  testimoniarne le diverse forme di rappresentazione.
L’esposizione è organizzata su tre temi principali:
– la comunicazione dei vivi verso i morti attraverso il coinvolgimento emotivo e la partecipazione al lutto (in questo ambito si può collocare, ad esempio, l’esperienza commemorativa del diamante Algordanza);
– la comunicazione dei morti con i vivi per mezzo di apparizioni paranormali;
– il dialogo tra vivi e morti (ad esempio tramite esperienze medianiche).

La comunicazione dei vivi nei confronti dei morti è sicuramente l’esperienza più comune, quella provata dalla maggior parte delle persone. Quando avviene la perdita di una persona cara è razionalmente difficile rinunciare al “dialogo” con essa. Il funerale e le necrologie, ad esempio, sono ambiti nei quali ci si continua a rivolgere a chi non è più in vita. Parimenti si fa va quando ci si reca in cimitero, si osserva l’urna custodita a casa o si contempla un diamante realizzato con le ceneri; sono tutti luoghi di commemorazione e di comunicazione silenziosa. Quindi, sebbene le varie testimonianze dell’esistenza dell’aldilà ci appaiano spesso tanto infondate quanto inspiegabili, non possiamo negare che nell’esperienza luttuosa di ciascuno di noi vi sia stato un momento di abbandono al bisogno di rivolgersi idealmente alla persona deceduta.

Diamante della Memoria Algordanza e Diamante del Ricordo LifeGem

3 dicembre 2008

NON SOLO PER RICORDARE

Diamante della Memoria Algordanza e Diamante del Ricordo LifeGem

Questo articolo è scritto per mettere in evidenza alcune peculiarità del Diamante della Memoria Algordanza a confronto con il Diamante del Ricordo LifeGem, due “prodotti” apparentemente simili ma che rivelano caratteristiche profondamente diverse dal punto di vista del procedimento di realizzazione e dell’essenza della composizione, così come riscontrabile dai siti internet ufficiali delle due aziende.

Non è nostra intenzione esaltare l’uno a scapito dell’altro ma semplicemente elencare gli elementi distintivi a giovamento della chiarezza di informazione. Siamo altresì disponibili ad integrare quanto scritto con gli eventuali suggerimenti che dovessero pervenire dalla società LifeGem Italia.

Il carbonio
Il carbonio utilizzato da Algordanza è ricavato esclusivamente dalle ceneri di cremazione, senza aggiunta di altro carbonio e senza inclusione di sostanze estranee.
Colorazione
La colorazione con sfumature di azzurro del diamante Algordanza dipende esclusivamente dal naturale contenuto dell’elemento boro nelle ceneri e non dall’aggiunta artificiale di altri elementi chimici.
Il diamante come forma di sepoltura
I diamanti Algordanza sono ottenuti soltanto dalle ceneri di cremazione e non da altre sostanze organiche, inoltre, tutte le ceneri di un’urna subiscono il processo di trasformazione e la creazione del diamante rappresenta l’estrema sintesi della concentrazione sotto forma di gemma.
Il rispetto della legge italiana
In conformità con quanto previsto dalla Legge Italiana, Algordanza tratta contemporaneamente la totalità delle ceneri contenute in un’urna e non ne chiede l’invio di una porzione soltanto.
Animali
Algordanza non manipola ceneri animali non ritenendo opportuna la loro trasformazione negli stessi laboratori e con i medesimi macchinari utilizzati per le ceneri umane.
Certificazione
Tutto il processo di produzione dei diamanti Algordanza avviene in Svizzera ed è garantito dalla certificazione DIN EN ISO 9001..